Le città del Principe - Barrafranca

I dipinti che rappresentano le dieci città del Principe, originariamente collocati come sopraporta nella sala di ingresso del piano nobile di Palazzo Butera, vengono esposti per la prima volta al pubblico. La possibilità di osservarli da vicino consente di confrontare la rappresentazione pittorica con la realtà dei centri siciliani ancora oggi esistenti. È un progetto sul territorio e, lavorando insieme alle energie del luogo, Palazzo Butera intende ristabilire un legame tra passato, presente e futuro, cercando sempre possibilità di scambio e arricchimento reciproco.

Il comune di Barrafranca sorge su un territorio collinare in provincia di Enna, nel centro sud siciliano. Confina con Pietraperzia, Piazza Armerina e Mazzarino e deve probabilmente il suo nome ad una concessione del 1629, che esentava dal pagamento delle tasse doganali chi si trovasse ad attraversare il paese.

Il primo nucleo abitato del territorio risale in realtà all’epoca bizantina, come è emerso dal ritrovamento di numerose testimonianze durante i lavori di demolizione dell’antica Chiesa Madre e della Chiesa del Purgatorio. Negli stessi anni, oltre al conformarsi dei principali quartieri, si attesta anche una prima costruzione della torre di Barrafranca, di cui non abbiamo traccia nel dipinto ma che sopravvive, secondo le fonti, almeno fino al Settecento sotto forma di ruderi.  

La torre, fortificata e a cinque piani, era garanzia di difesa. Intorno si estendeva la superficie abitata del piccolo centro, sviluppatosi in una particolare struttura “alla rovescia”, da sud verso ovest e poi verso nord, contrariamente ad altri territori, i quali – come si nota dal raffronto con le altre Città del Principe – sorgevano alle pendici delle rocche che dominavano i prospetti urbani dall’alto.

Ricostruita in epoca sveva, la struttura di difesa vide nascere nelle sue vicinanze anche un castello baronale per volere della famiglia Barresi, nel Cinquecento. Attestazioni della sopravvivenza dell’edificio si trovano in Vito Amico, nel Lexicon Topographicum  siculum del 1757, in cui si legge che i resti nelle vicinanze della Chiesa Madre erano ancora visibili nella piazza Batìa. Nel 1779 alcuni locali della torre vennero riadattati a prigione per volontà del principe Salvatore Branciforti e Branciforti, lo stesso committente del Palazzo Butera a Palermo. Dalle scarse persistenze sul lato ovest, visibili ancora oggi, si può supporre che il complesso fosse di forma poligonale.

Nei primi documenti che la ricordano, Barrafranca risulta menzionata col nome di Convicino. L’antica attestazione è da ascriversi forse ai movimenti migratori degli abitanti dalle zone limitrofe, i con-vicini appunto, i quali costituirono un fenomeno crescente nell’XI secolo con lo spopolamento delle campagne, divenute insicure, e l’incremento delle abitazioni intorno alla zona della torre.

Il dominio bizantino durò tre secoli, fino all’arrivo degli arabi, di cui restano però poche testimonianze sul territorio.

Con l’arrivo dei Normanni in Sicilia, intorno all’anno Mille, molte città dell’interno divennero residenza di gruppi al seguito della corte. A Barrafranca si stabilì una comunità giunta insieme a Ruggero I, il cui insediamento avrebbe favorito la cristianizzazione del territorio, con la conseguente costruzione di chiese, tra le quali probabilmente quella di San Sebastiano, trasformata poi nel 1725 in Chiesa Madre. Resterà forte l’influenza dei monaci benedettini, giunti nel VI secolo e presenti fino al Duecento.

Dopo la dominazione Sveva, quella Angioina fu fortemente contestata dagli abitanti di Barrafranca. La cittadina partecipò alla ribellione contro i francesi e divenne proprietà di Federico II d’Aragona. Da qui in poi sarà oggetto di contese tra i feudatari.

Nel 1526 Carlo V eleva Barrafranca e Pietraperzia al rango di “Terra Feudale”, emancipandole dalla giurisdizione di Piazza Armerina e concedendo a Matteo III Barresi, signore dei feudi, facoltà di intraprendere lavori pubblici che adeguassero il borgo alla nuova configurazione. Inizia così una fase di sviluppo ed espansione verso ovest che nasce ancora una volta dal castello –poi villa deputata ai traffici commerciali– alla cui corte confluiscono teologi e umanisti, come lo spagnolo Lucio Cristoforo Escobar, autore di un vocabolario trilingue spagnolo/latino/siciliano e di un opuscolo dedicato a Matteo Barresi, e che prosegue nel territorio con lo scavo e la costruzione di miniere. Si verifica in questi anni anche un nuovo movimento migratorio, forte traino all’incremento demografico della cittadina, dovuto all’abbandono delle coste in favore dell’entroterra e ai trasferimenti che seguivano la corte di Pietraperzia.

Dal vicino centro Barrafranca dipenderà di fatto fino al 1845, anno in cui i Borbone concederanno nuove porzioni di territorio da annettere al nucleo originario del comune. Spazio che è ben definito nel dipinto e che si dirama dalla piazza principale, comprendente numerosi edifici ecclesiastici e la magione di “Sua Eccellenza Padrone”, oggi non più esistente. Resta invece a testimonianza di quegli anni la parrocchia di Santa Maria della Stella.

Altro elemento peculiare riscontrabile nella rappresentazione l’assetto viario: piccole strade congiungevano la campagna al paese, vie di comunicazione fondamentali data  la vocazione prevalentemente agricola del centro, con contrade fertili coltivate a vigneti, uliveti, e orti impiantati nel Settecento proprio sotto il governo dei Branciforti, legati da secoli attraverso politiche matrimoniali alla famiglia Barresi e possessori insieme a loro dei feudi. Le arterie maggiori conducevano invece a Piazza Armerina e a Castrogiovanni, oggi Enna. Strade presenti sin dall’epoca romana e rese carrozzabili dai Borbone nel Settecento.

Negli anni successivi si conducono lavori di risistemazione ed è soprattutto la vita politica ad interessare il feudo.

Nel corso del Seicento nuove chiese vengono commissionate e i prospetti esistenti abbelliti, il paese continua ad espandersi finché anche Barrafranca, come numerosi altri centri siciliani, viene concessa in affitto dietro pagamento di una forte gabella, ed entra nell’orbita di Vincenzo Miccichè, signore locale cui viene ceduta nel 1626. Il secolo si conclude col terremoto del 1693 che colpisce anche l’ennese.

Tra Sette e Ottocento la provincia è protagonista dei tumulti popolari: quelli arrivati sulla scorta della Rivoluzione Francese prima, e dei moti degli anni Venti poi, sotto lo sguardo di Ercole Michele Branciforti, principe di Butera e Marchese di Barrafranca, che muore nel 1814. Così anche negli anni successivi, i cittadini barresi aderiscono alla carboneria e partecipano attivamente al susseguirsi degli avvenimenti, fino allo sbarco dei Mille, col passaggio delle truppe garibaldine da Barrafranca e l’adesione di numerosi abitanti alla spedizione.

Noemi Di Franco