Le città del Principe - Grammichele

I dipinti che rappresentano le dieci città del Principe, originariamente collocati come sopraporta nella sala di ingresso del piano nobile di Palazzo Butera, vengono esposti per la prima volta al pubblico. La possibilità di osservarli da vicino consente di confrontare la rappresentazione pittorica con la realtà dei centri siciliani ancora oggi esistenti. È un progetto sul territorio e, lavorando insieme alle energie del luogo, Palazzo Butera intende ristabilire un legame tra passato, presente e futuro, cercando sempre possibilità di scambio e arricchimento reciproco.

La rappresentazione di Grammichele restituisce un progetto di ricostruzione della città, disegnato nel 1693 dal principe Carlo Maria Carafa e Branciforti e dal frate Michele La Ferla, già attivo in diversi centri della Sicilia orientale. Una smisurata piazza esagonale con un impianto formato da quattro anelli di isolati e sei borghi periferici, formati a loro volta da quattro isolati e piccole piazze quadrangolari. Dal centro della piazza principale si dipartono sei strade radiali. Il progetto è ispirato alle città ideali della trattatistica rinascimentale, ma è un'interpretazione di quasi un secolo dopo.

Nel mese di gennaio del 1693, un terribile sisma distrugge infatti gran parte della Val di Noto, incluso il feudo di Occhiolà, di proprietà dei Branciforti. L'abitato era un tipico centro arroccato su un colle, privo di cinta muraria e munito di un castello. Dopo il sisma, a differenza degli altri centri posseduti dai Branciforti che vengono riparati lentamente, a una sola settimana dal disastro il principe decide di rifondare la città in tempi brevissimi. Così gli abitanti della distrutta Occhiolà si trasferiscono nel luogo dove ora sorge Grammichele, scelto per la sua distesa pianeggiante, ricca di acqua e di buona terra da coltivare.   

Grammichele è il caso più singolare della ricostruzione del Settecento in Val di Noto. La sua progettazione infatti non è contemporanea al modello che ha guidato tutta la riedificazione dei centri distrutti dal terremoto. Nella piazza stranamente concepita senza edifici pubblici, il ruolo centrale - solitamente costituito dalla chiesa maggiore - era rivestito dalla monumentale croce forata (abbattuta nel 1818) che, posta al centro, segnava il mezzogiorno e rimaneva visibile da qualsiasi punto delle vie radiali. Nonostante l’elegante disegno planimetrico si tratta di un centro contadino a cui corrisponde infatti un’edilizia povera.

A partire dal 1720 l’aspetto della piazza viene definitivamente trasformato con la costruzione decentrata della Chiesa Madre (1724-1765), dedicata a S. Michele Arcangelo - protettore dei terremoti e patrono di Grammichele - e il Palazzo Giuratorio (ricostruito alla fine dell’Ottocento come Palazzo comunale).

Oggi la piazza appare ulteriormente rinnovata in conseguenza del Concorso Nazionale del 1996 per la riedificazione architettonica della piazza attraverso una nuova pavimentazione e il progetto di un arredo urbano. Il progetto vincitore intitolato “Il cammino del sole… gli spazi del giorno”, si propone di «ridare dignità e vigore al centro» della piazza, così come aveva voluto secoli prima il principe stesso. Con il nuovo progetto la piazza diventa un enorme orologio solare a partire dallo gnomone monumentale posto al suo centro.

Florinda Albanese