Le città del Principe - Mazzarino

 

I dipinti che rappresentano le dieci città del Principe, originariamente collocati come sopraporta nella sala di ingresso del piano nobile di Palazzo Butera, vengono esposti per la prima volta al pubblico. La possibilità di osservarli da vicino consente di confrontare la rappresentazione pittorica con la realtà dei centri siciliani ancora oggi esistenti. È un progetto sul territorio, e lavorando insieme alle energie del territorio Palazzo Butera intende ristabilire un legame tra passato, presente e futuro, cercando sempre possibilità di scambio e arricchimento reciproco.

Mazzarino ha un ruolo di primo piano fra le Città del Principe. A partire dalla sua collocazione geografica, il centro mostra una posizione favorevole alla gestione del territorio circostante. Sarà capitale non solo culturale, ma anche centro di potere e costante riferimento per i feudi che i principi della famiglia Branciforti acquisiscono nel tempo. La sua vicinanza con i territori di Pietraperzia, Butera e Barrafranca – altri possedimenti dei Branciforti – sarà, nel tempo, motivo dell’importanza politica di Mazzarino all’interno di un’area geografica di una certa estensione nel territorio siciliano, esito dell’espansione del potere feudale.

La storia di Mazzarino è legata strettamente al nome dei Branciforti a partire dal Trecento. Fu il primo dei feudi acquisiti dalla famiglia e, come spesso avveniva ai tempi, erano le strategie matrimoniali a dettare i rapporti di potere e la gestione dei territori che, in definitiva, finivano per essere spartiti tra le famiglie nobili più prestigiose dell’isola. Nel 1324 Raffaele Branciforti sposa Graziana, figlia di Calcerando di Villanova, signore di Mazzarino. Da quel momento, la storia della terra di Mazzarino procederà di pari passo con la genealogia della famiglia Branciforti e con la loro opera di espansione nel territorio siciliano che già nel Cinquecento li pone al terzo posto tra le famiglie siciliane più influenti e con un maggiore reddito agrario.

Un primo momento decisivo risale al 1393, anno in cui la contea di Grassuliato viene data in feudo a Nicolò Branciforti, barone della vicina terra di Mazzarino. Grassuliato si ergeva sulla rupe, quasi a sovrastare il territorio circostante con il suo imponente castello normanno. Il castello sin dal Trecento ospita la corte dei Branciforti, e diventa un elemento fondativo del paesaggio di Mazzarino e della sua storia.

Nel dipinto di Palazzo Butera, databile al 1762, il pittore rappresenta il castello in un momento storico in cui questo aveva oramai perso la sua funzione di rappresentanza, sostituito dal palazzo al centro dell’abitato, diventa molto significativo in termini ricostruttivi. La posizione del castello rispetto all’abitato fa supporre con grande probabilità l’esistenza di un nucleo abitativo di una certa consistenza andato poi distrutto o trasferitosi progressivamente a valle, in un territorio più favorevole e più facilmente coltivabile. Probabilmente, la cappella di palazzo del Trecento va identificata nella chiesetta di San Francesco di Paola, anche questa visibile nel dipinto.

I Branciforti vissero nel castello sino alla metà del Seicento, quando Giuseppe Branciforti commissiona la costruzione del palazzo in città, in linea con un’evoluzione della presa di potere e di controllo sul territorio. Il palazzo del Principe si trova lungo l’asse del corso principale, nei pressi della Chiesa Madre e del Collegio dei Gesuiti. Un potere, dunque, che manifesta la volontà di calarsi nel territorio, di divenire il centro della vita della città e il principale punto di riferimento per la sua gestione, in posizione dialettica rispetto alle istituzioni ecclesiastiche.

A Mazzarino, è attestata la presenza dei vari ordini religiosi, ma tra questi, di grande rilevanza è il ruolo svolto dai gesuiti, che in Sicilia si insediavano solitamente presso le città demaniali. È un altro segno dell’importanza di Mazzarino nell’isola alla fine del Seicento, non soltanto dal punto di vista territoriale, ma anche culturale. La Compagnia annoverava al suo interno uomini dediti non soltanto all’ideologia di un cattolicesimo militante, ma al contempo dotati di grande cultura, come letterati, filosofi, scienziati, architetti, scultori, pittori.

Altro ordine religioso a cui la famiglia Branciforti è particolarmente legata è quello dei Carmelitani. Per volere di Giuseppe Branciforti a metà del Seicento fu costruito il Convento del Carmine con l’annessa Chiesa di Santa Maria del Monte Carmelo, indicata come il luogo prescelto per le sepolture di famiglia.

La vita culturale del centro siciliano raggiunge il suo apice sotto il governo del principe Carlo Maria Carafa Branciforti (1675-1695). In questo periodo Mazzarino diventa effettivamente una piccola capitale, ricca di monumenti, chiese, palazzi, biblioteche e tre tipografie. Il principale punto di interesse della Mazzarino del tardo Seicento è costituito dalla Chiesa Matrice, dedicata a Santa Maria della Neve e rifondata sull’originario impianto quattrocentesco per volere del Principe Carlo Maria Carafa e Branciforti. Nel suo lascito testamentario del 1695, il principe dispone la somma di mille scudi per il rifacimento della facciata, affidando il progetto ad Angelo Italia, architetto gesuita e nome di spicco del barocco siciliano. Probabilmente a causa dell’insufficienza di denaro o di una sua cattiva gestione, la facciata non fu mai completata ed è possibile osservare ancora oggi, in maniera del tutto suggestiva, il suo assetto piramidale incompleto nella parte superiore.

Il complesso di Santa Maria del Gesù, posto ai confini della città fu restaurato intorno al 1689, sempre per volere del Carafa, per accogliere i frati Minori. È all’interno di questa chiesa che il Principe chiede di essere sepolto alla sua morte «in una cassa di rozze tavole, e nudo e scalzo, con un saio di quello vecchio per l’elemosina dei P. Cappuccini e con una sola pietra sotto la testa». Negli stessi anni si colloca la costruzione del collegio gesuitico e la relativa chiesa, dedicata a Sant’Ignazio, avviata nel 1694. La morte improvvisa del Principe nel 1695 gli impedisce di assistere al completamento dei lavori, per il quale destinò comunque un’ingente somma di denaro di millecinquecento scudi annui, come è specificato nel suo testamento. Sebbene esistano delle incertezze sull’identità del progettista, anche in questo caso è possibile rintracciare delle analogie con i lavori di Angelo Italia, il quale è comunque presente a Mazzarino in diversi momenti tra il 1685 ed il 1692 al servizio del principe Carafa.

Il dipinto di Palazzo Butera svolge un ruolo cruciale per comprendere il modo in cui la città cambia nel tempo. Esso mostra anzitutto la consistenza e la linearità della parte dell’abitato di più recente costruzione. Attraverso una comparazione con le mappe catastali dell’epoca borbonica è possibile, inoltre, notare come il disegno urbano di Mazzarino sia pressoché completo all’epoca della rappresentazione. Lungo il corso dell’Ottocento, non si segnala un’espansione urbanistica, che riprenderà soltanto dopo la Grande Guerra, procedendo verso sud-est e sud-ovest in aree che erano un tempo coltivate.

Dal punto di vista urbanistico, la città realizza il suo assestamento nel corso del Seicento, per cui il suo assetto può dirsi definito già alla prima metà del Settecento. Fino al Cinquecento, infatti, l’abitato si limitava alla parte a nord del corso, dove esso si era sviluppato longitudinalmente, congiungendo i due nuclei di origine medievale. L’espansione urbanistica supera il limite segnato dall’arteria di collegamento e procede sul territorio nel modo in cui l’iconografia del sovrapporta di Palazzo Butera ci mostra fedelmente.

Ben al di là del dipinto settecentesco, l’immagine di Mazzarino sarebbe monca senza considerare il patrimonio artistico della città siciliana. All’interno delle chiese, sono conservati dipinti di Filippo Paladini, che morì a Mazzarino nel 1614. Il pittore calabrese Mattia Preti (1613-1699), attivo a Roma e poi a Napoli, per trasferirsi infine a Malta, durante un suo soggiorno in Sicilia, esegue il Martirio di Santo Stefano, collocato nella chiesa del Carmine e trafugato negli anni Settanta. Il caso del dipinto di Preti è particolarmente emblematico sotto un duplice aspetto: da un lato fa riflettere, sul prestigio della città all’epoca dei Branciforti, per aver accolto artisti del calibro del pittore calabrese, dall’altro ci pone direttamente una domanda sul presente e sul futuro della città. Il furto è sintomo di un precedente abbandono, e un simile patrimonio artistico e monumentale potrebbe invece diventare oggetto di un nuovo turismo culturale ed in tal modo continuare a raccontare la sua storia.

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