Le città del Principe - Raccuia

I dipinti che rappresentano le dieci città del Principe, originariamente collocati come sopraporta nella sala di ingresso del piano nobile di Palazzo Butera, vengono esposti per la prima volta al pubblico. La possibilità di osservarli da vicino consente di confrontare la rappresentazione pittorica con la realtà dei centri siciliani ancora oggi esistenti. È un progetto sul territorio e, lavorando insieme alle energie del luogo, Palazzo Butera intende ristabilire un legame tra passato, presente e futuro, cercando sempre possibilità di scambio e arricchimento reciproco.

In una lettera del 1789, spedita da Napoli, il principe di Butera chiede al suo amministratore, che gestisce dal palazzo palermitano i rapporti con il territorio, di far recapitare nella capitale del Regno «un barile di alici salate, di mandorle secche senza scorza, e qualche canestro di pruni secche, che si fanno in Raccuia» (Archivio di Stato di Palermo, Fondo Trabia, Serie H, v. 44, f. 235). Anche a una certa distanza, il principe si ricordava di quel feudo in cui si trovavano prugne e mandorle secche di grande qualità.

Proprio in quegli anni, il dipinto di Raccuia, già esposto nella galleria di ingresso a Palazzo Butera, subiva un intervento di rifacimento, ad opera del pittore Gaspare Cavarretta. In un documento del 1784, si ricorda infatti che questo pittore di nature morte aveva «per metà pinto di pianta e mettà ritoccato» il quadro della «Terra di Raccuglia» (Archivio di Stato di Palermo, Fondo Trabia, Serie H, v. 40, ff. 386-387). Effettivamente, la parte di destra del dipinto, che comprende il putto, lo stemma e alcune case retrostanti, ha una stesura pittorica differente dal resto della figurazione.

Il feudo di Raccuia era distante dalle aree della Sicilia su cui i Branciforti esercitavano maggiormente il loro dominio. Forse anche per questa ragione, la rappresentazione è così approssimativa: il pittore poteva non avere a disposizione un’immagine, incisa o disegnata, della pianta della città. La contea, nel cuore dei Nebrodi, fu acquistata nel 1551 da Niccolò Branciforti e Moncada. Il principe e i suoi discendenti favorirono la costruzione di numerose chiese e conventi, tutti rappresentati nel dipinto: dalla chiesa madre alle fondazioni dei francescani osservanti o dei carmelitani. In particolare, chi si distinse nelle committenze fu Niccolò Placido Branciforti e Lanza, che a inizio Seicento promosse la produzione di canna da zucchero nel territorio circostante.

Come tanti Comuni siciliani, nel corso dell’ultimo centennio, Raccuia ha patito un forte spopolamento, se si pensa che dai 5000 abitanti del 1921 si è passati agli attuali 980. Eppure l’antico castello dei Branciforti è stato restaurato ed è visitabile dal 2009. Un modello per gli altri castelli siciliani, che ancora necessitano di interventi di recupero.

 

Claudio Gulli